Molte persone arrivano in terapia con una domanda dolorosa e ricorrente:
“Perché scelgo sempre persone che mi fanno stare male?”
Che si tratti di partner distanti, tradimenti ripetuti o relazioni in cui ci si sente invisibili, il vissuto è lo stesso: un malessere profondo che si ripresenta con volti diversi.
Quello che spesso emerge è che alla base di questi schemi relazionali disfunzionali c’è una ferita più antica: il trauma di attaccamento.
Cos’è il trauma di attaccamento?
Il trauma di attaccamento non nasce necessariamente da episodi eclatanti, ma può svilupparsi anche in contesti apparentemente “normali”. Si tratta di quelle esperienze precoci in cui i bisogni emotivi del bambino non sono stati visti, riconosciuti o accolti in modo sufficientemente stabile e rassicurante.
Questo tipo di trauma lascia segni profondi nel modo in cui, da adulti, entriamo in relazione con gli altri:
- si fatica a costruire legami profondi e sicuri,
- si teme l’abbandono o il rifiuto,
- si tende a scegliere partner non disponibili, sfuggenti o addirittura manipolatori.
Spesso chi ne soffre non ne è consapevole, ma si trova intrappolato in uno schema che si ripete, di relazione in relazione anche quando….si diventa grandi!
La teoria dell’attaccamento: cosa ci spiega
Alla base di questa comprensione c’è la teoria dell’attaccamento, sviluppata da John Bowlby negli anni ’60. Secondo Bowlby, le esperienze che viviamo da piccoli con le figure di riferimento (caregiver) formano dei Modelli Operativi Interni: delle rappresentazioni inconsapevoli di come funziona una relazione e di quale posto abbiamo noi al suo interno.
Se il bambino impara che per essere visto deve “comportarsi bene”, non disturbare, eccellere, sacrificarsi, è probabile che anche da adulto porterà avanti questo copione. Allo stesso modo, se ha vissuto rifiuto, disinteresse o instabilità, potrà sviluppare la convinzione di non essere degno d’amore o di doversi sempre guadagnare l’affetto degli altri.
Fase 1 – Capire: quando le convinzioni non sono la realtà
Il primo passo, in terapia, è riconoscere questi meccanismi.
Non per colpevolizzarsi, ma per comprendere che molte delle proprie difficoltà relazionali non nascono da un “difetto personale”, ma da schemi interiorizzati a partire da esperienze passate.
Questo processo si chiama psicoeducazione sull’attaccamento:
aiutare la persona a capire che le sue convinzioni su sé stessa — come “devo essere perfetto per essere amato” o “se mi espongo, verrò ferito” — non sono verità oggettive, ma apprendimenti emotivi condizionati dal passato.
Questa consapevolezza può già fare la differenza.
È come accendere la luce in una stanza rimasta buia per troppo tempo.
Fase 2 – Esplorare il passato per comprendere il presente
Una volta costruita questa base, si passa all’esplorazione delle esperienze relazionali originarie:
- Cosa ho imparato sull’amore?
- Come venivano accolti i miei bisogni da bambino?
- Cosa succedeva quando ero triste, arrabbiato o vulnerabile?
Ripercorrere queste dinamiche aiuta a identificare il modello di attaccamento sviluppato — che può essere sicuro, evitante, ambivalente o disorganizzato — e a riconoscere come esso si ripropone oggi.
Per esempio, una persona con un attaccamento ambivalente può trovarsi spesso in relazioni con partner che si avvicinano e poi si allontanano, facendo rivivere l’altalena emotiva vissuta nell’infanzia.
Fase 3 – Trasformare gli schemi disfunzionali
L’obiettivo finale è aiutare la persona a modificare gli schemi relazionali disfunzionali e a costruire una modalità più sana e consapevole di stare in relazione.
Questo processo non è immediato, ma possibile.
Il lavoro terapeutico punta a:
- sostituire le convinzioni limitanti con nuove narrazioni più realistiche,
- rafforzare la fiducia in sé stessi,
- riconoscere i segnali di relazioni non sane,
- imparare a scegliere in modo diverso.
In questo percorso, la relazione terapeutica stessa diventa uno strumento di guarigione.
Sperimentare una relazione fondata su empatia, accettazione e autenticità — come proposto da Carl Rogers — permette al paziente di vivere qualcosa di nuovo e riparativo, in netto contrasto con le esperienze passate.
Costruire relazioni più sane è possibile
Guarire il trauma di attaccamento non significa cancellare il passato, ma liberarsi dal suo controllo sul presente.
È un cammino che parte dalla consapevolezza, attraversa il dolore delle esperienze antiche, e arriva a una nuova possibilità: quella di scegliere relazioni più equilibrate, sicure e autentiche.
Perché non siamo condannati a ripetere sempre lo stesso copione. Possiamo riscriverlo.
Hai riconosciuto qualcosa di te in queste dinamiche?
Il lavoro psicoterapeutico può aiutarti a dare un senso a ciò che vivi e a trasformare i tuoi schemi relazionali.
Parlarne è il primo passo